La Tisana del Cuore

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Cuore di Madre

Racconti del Cuore


"Dio non può essere ovunque: è per questo che ha creato le madri."

Leopold Kompert





Vieni da me


La piccola Arianna, era passata dal seggiolone ai primi passi, con la sua bella dose di cadute e ginocchia sbucciate, come succede a tutti i bimbi. In quelle occasioni di solito la mamma apriva le braccia e le diceva: "Vieni da me!".
Allora Arianna andava a gattoni verso di lei, le saliva sulle ginocchia e mamma e bambina si abbracciavano.
La mamma le chiedeva : "Sei la mia bambina?".
Piangendo Arianna faceva "si" con il capo. Poi aggiungeva: "La mia dolce nespolina Arianna?". La bambina annuiva ancora, ma con un sorriso.
La mamma, infine, le diceva: "E io ti voglio bene, sempre, in eterno e ad ogni costo!".
Dopo una risata ed un abbraccio, la bambina era pronta per un’altra sfida.
Anche a cinque anni Arianna continuava a ripetere la scenetta del "Vieni da me" per le ginocchia sbucciate e i sentimenti feriti, per scambiarsi il "buongiorno" e la "buonanotte".
Un giorno capitò alla mamma di avere una giornataccia. Era stanca, irritabile e stressata dall'impegno che richiede prendersi cura di un marito, di una bambina di cinque anni, di due ragazzi adolescenti e del lavoro che svolgeva da casa. Ogni volta che squillava il telefono o che suonavano alla porta arrivava del lavoro che l'avrebbe impegnata per un giorno intero e che doveva essere fatto immediatamente. Raggiunse il punto di rottura nel pomeriggio e si rifugiò in camera a piangere in santa pace. Arianna corse subito a cercarla e le disse: "Vieni da me".
Si accoccolò vicino alla mamma, mise le manine sulle sue guance bagnate dalle lacrime e disse: "Sei la mia mamma?" Piangendo la mamma fece "sì" col capo. "La mia dolce nespolina mamma?". Sorridendo la donna fece "sì" con il capo.
"E io ti voglio bene, sempre, in eterno e ad ogni costo!".
Una risata, un abbraccio e anche la mamma era pronta per la prossima sfida.

Bruno Ferrero




La madre speciale

Vi è mai capitato di chiedervi come vengano scelte le madri di figli handicappati? In qualche maniera riesco a raffigurarmi Dio che dà istruzioni agli angeli, che prendono nota in un registro gigantesco.
«fam. Rossi: Mario, figlio. Santo patrono, Matteo» «fam. Bianchi: Anna, figlia. Santa patrona, Cecilia» «Luca e Gianni, gemelli, Santo patrono diamo Gerardo. È abituato alla scarsa religiosità», Finalmente, passa un nome a un angelo e sorride: «A questa, diamole un figlio handicappato».
L'angelo è curioso. «Perché a questa qui, Dio? È così felice».
«Esattamente», risponde Dio sorridendo. «Potrei mai dare un figlio handicappato a una donna che non conosce l'allegria? Sarebbe una cosa crudele»
«Ma ha pazienza?», chiese l'angelo.
«Non voglio che abbia troppa pazienza, altrimenti affogherà in un mare di autocommiserazione e pena. Una volta superati lo shock e il risentimento, di sicuro ce la farà». «Ma, Signore, penso che quella donna, non creda nemmeno in Te». Dio sorride. «Non importa. Posso provvedere. Quella donna è perfetta. È dotata del giusto egoismo». L'angelo resta senza fiato. «Egoismo? È una virtù?» Dio annuisce. «Se non sarà capace di separarsi ogni tanto dal figlio, non sopravvivrà mai. Sì, ecco la donna cui darò la benedizione di un figlio meno che perfetto. Ancora non se ne rende conto, ma sarà da invidiare. Non darà mai per certa una parola. Non considererà mai che un passo sia un fatto comune. Quando il bambino dirà "mamma" per la prima volta, lei sarà testimone di un miracolo e ne sarà consapevole. Quando descriverà un albero o un tramonto al suo bambino cieco, lo vedrà come poche persone sanno vedere le mie creazioni. Le consentirò di vedere chiaramente le cose che vedo io -ignoranza, crudeltà, pregiudizio -, e le concederò di levarsi al di sopra di esse. Non sarà mai sola. Io sarò al suo fianco ogni minuto di ogni giorno della sua vita, poiché starà facendo il mio lavoro infallibilmente come se fosse al mio fianco».
«E per il santo patrono?», chiede l'angelo, tenendo la penna sollevata a mezz'aria. Dio sorride. «Basterà uno specchio».


Erma Bombeck




Quando è cresciuta?


Ogni sera dopo averle rimboccato le coperte le cantavo una canzoncina. Era una canzone sciocca, inventata, era la nostra canzone: "Rimani così piccola. Rimani così, piccola, piccola, piccola. Piccola rimani così, piccola rimani così."
Lei rideva e io sorridevo. Poi al mattino le dicevo: "Ma guarda! Sei cresciuta! La canzone non ha funzionato!"
Le cantai quella canzone per anni e ogni volta che smettevo di cantare lei si metteva una mano sul cuore e prometteva di non crescere più.
Poi una sera smisi di cantare quella canzone, chissa perchè. Forse la porta della sua camera era chiusa. Forse stava studiando. Forse era al telefono. O forse mi resi conto che era ora di darle il permesso di crescere.
Ora mi sembra che la nostra canzone deve aver avuto qualcosa di magico perchè ogni sera che la cantavo lei rimaneva una bambina di ... quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci anni. Tutti quegli anni mi sembravano uguali. Anche lei mi sembrava la stessa. Diventava più alta e i piedi le si allungavano, qualche dente cadeva e quelli nuovi crescevano, però ogni tanto bisognava ricordarle di lavarli, di pettinarsi e di fare la doccia.
Giocava con le bambole e il pongo e anche se ad un certo punto Barbie venne rimpiazzata dal Monopoli, al di là del tavolo lei era sempre la stessa. Per anni è rimasta come una di quelle bambole di legno che stanno una dentro l'altra, identiche in tutto eccetto che per le dimensioni.
O per lo meno io la vedevo così.
Andava sui pattini a rotelle, pattinava sul ghiaccio, giocava con i carrelli nei supermercati, faceva bolle di sapone e tanti disegni che attaccavamo al frigorifero. Divorava merendine, trangugiava ghiaccioli in un battibaleno e si svegliava presto la domenica mattina per guardare Davide e Golia alla televisione.
Non dormiva mai una notte intera, nè a dieci mesi, nè ai dieci anni. Quando era piccola si svegliava piangendo ed io la portavo nel mio letto. Quando era un po' più grande si svegliava e trovava la strada da sola e al mattino me la trovavo sdraiata accanto a me.
Mi metteva dei bigliettini sotto il cuscino prima di andare a letto. Io le mettevo dei bigliettini nel sacchetto della merenda prima che uscisse per andare a scuola. Quando non ero in casa mi aspettava vicino al telefono. Io l'aspettavo alla fermata dell'autobus quando tornava da scuola.
La canzone, i biglietti, svegliarsi con lei al fianco, aspettare alla fermata dell'autobus... tutte queste cose sono finite tanto tempo fa. Adesso di sopra c'è una giovane donna, un'adulta. E' da un po' che stava crescendo. Tutti lo avevano notato... eccetto me.
Oggi, una settimana prima della laurea, guardo orgogliosa la persona che è diventata. Ma sono anche così triste... non per lei, ma per me. In questa casa c'è stata una bambina per venticinque anni.
Ora la bambina è cresciuta. Ma nonostante quello che mi dicono gli altri, cose del tipo "Vedrai che non li perdi", "Se ne vanno, ma tornano sempre", "Vedrai che apprezzerai un po' di pace e di silenzio", "la prossima parte della vita è la migliore"... so che quello che verrà dopo non sarà mai come quello che è stato.
Io amavo quello che era stato. Amavo vederla arrivare traballante nel mio ufficio e mettere la sua macchina da scrivere giocattolo vicino alla mia. Amavo guardarla correre giù per il corridoio dell'asilo per volare tra le mie braccia dopo una separazione di appena due ore e mezzo. Amavo portarla a comprare gli adesivi, andare al cinema con lei o a fare delle passeggiate. Adoravo accompagnarla in auto a fare ginnastica e ascoltare i suoi amici. Amavo essere la persona da cui correva quando era felice o spaventata. Amavo essere al centro del suo mondo.
"Mamma, vieni a giocare con me".
"Mamma, sono tornata".
"Mamma, ti voglio il bene più grande e più largo".
Cosa rimpiazzerà queste cose adesso?
"Vuoi vedere il mio mantello?" mi chiede facendo capolino nel mio ufficio. Lo tiene in alto, appoggiato sulle braccia. E' felice e io sono felice per lei. Mi bacia sulla guancia e mi dice: "Ti voglio bene, mamma" e poi se ne va di sopra.
Mi siedo alla scrivania e nonostante mi si spezzi il cuore, sorrido. Penso al grande privilegio che è essere madre e a quanto sono fortunata.

Beverly Beckham (tratto da "Una tisana calda per l'anima delle donne"
edito da Essere Felici)




Seconda pelle

Quel paio di vecchi jeans, i miei preferiti, non mi entreranno mai più. Alla fine ho accettato questa immutabile verità. Dopo aver messo alla luce e tirato su due bambini il mio corpo ha subito una metamorfosi. Forse ho riacquistato il mio peso pre-natale ma si sono verificati lievi spostamenti e leggere espansioni durante quella che è la mia versione personale della deriva dei continenti. Quando ero adolescente non capivo la differenza tra le taglie per giovani e quelle per signore, i vestiti per signora mi sembravano soltanto vecchi. Adesso mi è chiaro che i vitini di vespa e i sederini rotondi sono soltanto illusioni passeggere di gioventù. Ma va bene così perchè anche se i jeans non si abbottonano più, la vita che ho acquistato in cambio mi va meglio di quanto mi fossero mai andati quei jeans.
Per me questo è il periodo della vita in cui si va a piedi scalzi e si indossano calzoncini e magliette. Sono passata così facilmente al ruolo di giovane madre e tra quelli che mi sono trovata a svolgere è senza dubbio il ruolo in cui mi trovo meglio. Non ci sono cuciture che lasciano il segno, nè chiusure lampo che saltano.
C'è solo la senzazione di essere uscita dal camerino di prova con qualcosa addosso con cui finalmente mi sento bene.
Amo sentire il dolce peso di questo bambino sul fianco, la soffice testolina che si incastra alla perfezione sotto il mio mento, le manine allargate sulle mie braccia che sembrano piccole stelle marine rosate. Amo il modo in cui mia figlia di otto anni cammina al nostro fianco mentre attraversiamo il parcheggio del supermercato. Nelle belle giornate di primavera il vento leggero le fa svolazzare i capelli e ridiamo insieme quando il sole fa storcere il naso e strizzare gli occhi al piccolino. Le mie braccia sono sempre tese per toccare i miei bambini, come farebbe una sarta con due teli di seta preziosa mentre pensa cosa potrebbe venirne fuori ma esitante al tempo stesso per paura di alterarli, di perdere quella completezza, quell'integrità che sento sotto le mie mani.
Quelle rare mattine in cui mi sveglio per prima, vado in camera loro e li guardo mentre dormono con quei visini paffutti e rosei. Poi si muovono e si stiracchiano mentre si svegliano, e allargano le braccia subito pronti per un abbraccio.
Allora li prendo tutti e due tra le braccia affondando il viso contro di loro e respirando a fondo il loro profumo. Sono caldi e morbidi come asciugamani di spugna appena usciti dall'asciugabiancheria.
Certe volte seguo il suono delle voci da ragazzina che vengono dalla camera di mia figlia dove lei e le sue amiche, immerse fino al ginocchio nello chiffon comprato al mercatino, giocano ad inventarsi dei vestiti da sera misurandosi addosso la vita. Completamente assorte da quel gioco, si lisciano e si mettono in posa davanti allo specchio, si addobbano con collane di plastica e aggiustano le coroncine fatte di cartone e lustrini. Guardo quelle ragazzine con i loro capelli lucidi e sottili che nessun elastico o fermaglio riesce a domare. Sono costantemente impegnate a sistemare le ciocche ribelli dietro le orecchie e in quel gesto da adulte intravedo le donne che diventeranno.
So che troppo presto queste nuvole di organza e pizzo verranno riposte per sempre nelle loro scatole malridotte che sono state all'occorrenza forzieri del tesoro e troni per le principesse.
Diventeranno gli abiti smessi dell'infanzia di mia figlia che torneranno da me. Ma per adesso ogni sera i miei bambini stanno accoccolati sul divano vicino a me. Spesso si addormentano in quel modo e sento le loro gambette flosce e morbide abbandonate contro di me, come le pieghe di una vecchia e comoda vestaglia.
Per adesso ci stiamo addosso e ci adorniamo a vicenda e loro sono contenti di essere circondati dal mio abbraccio. So che arriveranno i tempi in cui quel contatto ci sembrerà scomodo e irritante come se avessimo addosso maglioni di lana ruvidi e ispidi e tacchi a spillo di dieci centimetri. Allora dovremo cercare insieme un nuovo look, tirando e schiacciando, cercando di mantenere intatta la stoffa sottostante.
Arrivati a quel punto avremo già tessuto un arazzo ricco ed elaborato che avrà un suo disegno tutto speciale, che avrà i suoi piccoli strappi, qualche filo tirato e un po' di lacrime.
Ma non dimenticherò questo momento fatto di testoline assonnate appoggiate alla mia spalla, di pigiami a tutina e di vestiti madre-figlia, di piccole manine paffute chiuse a pugno dentro le mie.
Questo momento mi sta bene e ho intenzione di portarlo il più a lungo possibile.

Caroline Castle Hicks (tratto da "Una tisana calda per l'anima delle donne"
edito da Essere Felici)







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